martedì 22 dicembre 2009

Ai dittatori con il culto della personalità non basta il potere: vogliono l'amore...

(pubblicato su www.sullanotizia.com)

A chi, come me, sa una o due cose di psicologia, non può mancare questa specie di principio zero: le azioni sono giudicabili, possono essere valutate come giuste o sbagliate; i pensieri no.
La poca considerazione, o il disprezzo, o addirittura l'odio che posso nutrire per una persona non valgono niente e non possono essere "condannati" finché io rispetto quella persona e non le nuoccio; e d'altra parte io, nella mia testa, posso pensare e sentire quello che mi pare e piace.
Dunque Mister B. ci è rimasto molto male di quello che è successo domenica sera dicendo, tra le altre cose, di non capire il perché di questo odio, perché lui vuole il bene di tutti e vuole bene a tutti e non capisce proprio perché ci sia gente che lo odia. Non lo capisce, nel senso che gli dispiace, non lo accetta, non lo vuole.Dichiarazioni sgomente e sofferenti come queste ultime appaiono più pacate e trascurabili di tante altre proferite dal medesimo. Se invece ci soffermiamo a riflettere, possiamo rilevare la portata reale, ben più grande, di queste parole.
Partiamo dal principio zero della psicologia appena enunciato: io amo e odio chi voglio, e non per questo sono in errore. Nello specifico, ammettiamo che io abbia dato il mio voto alla coalizione guidata da Berlusconi. Innanzitutto ricordiamo che io non avrei dato il voto a Mister B. in persona, come lui ci tiene tanto spesso a ripetere ("un presidente scelto dal popolo"), ma alla sua coalizione: così è successo a causa della legge elettorale da loro stessi voluta, che ci ha impedito di esprimere una specifica preferenza.
Se anche poi le mie intenzioni fossero state di dare il voto precisamente a lui, sempre di un voto politico si sarebbe trattato: non di una dichiarazione d'amore, non di un patto di amicizia. Dentro di me potrei odiarlo, e allo stesso tempo ritenere che egli farà il mio interesse meglio di quelli che non avrei votato.
Gli avrei, con quel voto, espresso il seguente ordine: vai a lavorare, fai quello che avevi detto di fare, difendi i miei interessi e quelli della gente come me, impegnati a meritarti quella poltrona che io ti ho dato e che tra 5 anni, se non mi avrai soddisfatto, potrò toglierti. C'è del sentimento in tutto questo? No.
Forse che l'impiegato comunale che ci rinnova la carta di identità o ci rilascia un permesso di costruire o registra il nostro matrimonio merita amore e particolari riconoscimenti per quello che fa? No, dal momento che sta solo facendo il lavoro per il quale noi stessi lo paghiamo.
C'è dell'interesse in tutto questo? Sì: il politico che diventa parlamentare è una persona che noi spediamo a Roma a difendere i nostri interessi, che lavora per noi, tutto qui.
Mister B. ha invece già fatto un passo successivo: non gli basta che la gente possa essere soddisfatta di come lui lavora per loro, ma vorrebbe anche essere apprezzato come persona, accettato, amato addirittura.
Non è una novità nella storia questo interesse a che la propria persona diventi tutt'uno con la carica istituzionale.
L'abbiamo già visto in qualche caso, tra i quali ricordiamo Mussolini, Stalin, Giulio Cesare e poi tutti gli imperatori dopo di lui, Hitler, Kim Il Sung, Mao Tse tung, tutte persone che ci tenevano a farsi amare dai propri elettori, che a quel punto erano diventati più che altro dei sudditi.
Ma non c'era già stato un referendum per abolire la monarchia?

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