mercoledì 5 maggio 2010

Sulla assoluta mancanza di sportività nel calcio, sempre.

(Ricevo & pubblico le riflessioni di un appassionato di calcio, che ha meglio saputo sintetizzare le mie opinioni in materia)

Assumiamo che un alieno curioso abbia studiato la definizione dei termini “sport” e “sportività”, e ammettiamo che si sia letto ben bene le regole del calcio. Se avesse improvvisamente acceso la sua TV intergalattica per trovare conferma di quanto appena appreso e si fosse sintonizzato domenica 2 maggio sulla partita tra Lazio e Inter (vinta per 1-2 dai nerazzurri), avrebbe avuto ben ragione di meravigliarsi di quanto il monitor gli stava mostrando: i giocatori della Lazio che si accontentavano di trotterellare per il campo e il proprio pubblico che tifava per la squadra avversaria.

Fortunatamente (o forse no: sta a voi decidere) non siamo extra-terrestri ma esseri umani, e nella fattispecie italiani. Il senso di quest’ultima precisazione non cela nessun pregiudizio morale negativo, ma è semplicemente doveroso perché in questa nazione come in pochissime altre il calcio è molto più che uno sport: è un business, una religione, è il termometro della condizione psicologica della maggioranza degli individui di sesso maschile del paese.

È questo il motivo per cui il tifoso di calcio italiano è altrettanto interessato alla storia dei risultati delle diverse squadre quanto ai punteggi delle più recenti partite, perché questo gli permette di portare, quale argomento a suffragio delle proprie speculazioni, ora il glorioso palmares di una potenza calcistica attualmente in difficoltà, ora le invidiabili prodezze di una squadretta dal passato non proprio memorabile.

Ciò che coloro che hanno stigmatizzato il comportamento di tifosi e giocatori laziali stentano a capire è che il calcio non viene vissuto dal tifoso nell’arco dei 90 minuti di una partita e neanche nell’arco delle 38 giornate di un campionato. Nel caso specifico della storica rivalità fra Lazio e Roma la partita va avanti da quasi un secolo.

E allora per i tifosi romani il calcio va immaginato come il gioco degli scacchi (recentemente riconosciuto uno sport persino dal CONI) in cui nell’eterna sifda stracittadina spesso si gongola anche per la perdita di un pezzo, indipendentemente dalla sua importanza purchè non sia il re, perché questo permette, se non proprio di andare a vincere inesorabilmente la partita, perlomeno di riaprirla.

Questo è quello che hanno fatto i giocatori della Lazio domenica sera, questo è ciò che gli chiedevano i propri tifosi. Di farsi mangiare un pezzo. Un pezzo poco più importante di un pedone, che arrestasse l’avanzata dello schieramento nemico.

E non ricordano forse i moralisti dell’ultim’ora di varia estrazione (che vanno dagli ex addetti ai lavori protagonisti di episodi simili, quando non peggiori, alle vedove di Moggi, passando udite udite per i politici, pronti a tutto pur di mettere il bastone tra le ruote alla controparte) che due volte l’anno Mamma RAI, in nome e per conto degli italiani, celebra in diretta TV la ricorrenza del Palio di Siena, madre delle manifestazioni sportive in cui non importa tanto vincere quanto far perdere il proprio avversario storico.

La verità, se vogliamo arrivare al nocciolo della questione, è che ciò di cui tutti questi personaggi vorrebbero accusare i laziali (ma non possono, non riuscendo ad essere onesti con se stessi) è di essere stati troppo sfrontati e troppo goliardici nel perpetrare il reato di cui da decenni quasi tutte le squadre e le tifoserie si macchiano, con l’accortezza però di non dare nell’occhio. A Roma è stato messo a nudo l’unico vero valore del calcio: la sopraffazione a tutti i costi del proprio nemico, badate bene: non del proprio avversario sportivo.

E proprio e solo in questo hanno sbagliato profondamente i biancocelesti: nell’offrire ad un sistema profondamente malato uno strafottente capro espiatorio da innalzare sull’altare dell’onnivoro linciaggio mediatico. Ma è oggettivamente difficile sostenere tesi secondo le quali soltanto nel DNA dei biancocelesti (e tra l’altro della loro quasi totalità) esista un gene che porti a tifare contro la propria squadra per una sera, per poi trarne benefici per tutto l’anno successivo. Davvero pensate che in un’altra città la gente avrebbe perso l’occasione di festeggiare per tutto l’anno pur di celebrare la propria sportività per una sera?

Gli esempi di partite combinate o volutamente non vinte o non giocate non mancano certo in questo come negli anni passati, in italia e all’estero.

- Domenica 2 maggio: Udinese 2 – 2 Cagliari, per entrambe salvezza matematica.

- Stessa settimana: Liverpool 0 – 1 Chelsea, scudetto regalato dai Reds ai Blues e sottratto agli storici rivali del Manchester United.

- 15 magio 2005: Lazio 0 – 0 Roma, derby praticamente non giocato a causa di un tacito

accordo tra i giocatori per garantire la matematica salvezza ai giallorossi a un passo

dalla retrocessione.

- 6 giugno 1993: Roma 1 – 1 Udinese, ultima di campionato, la Roma gioca una partita

farsa e sbaglia un goal a porta vuota nel finale, esultanza dei tifosi giallorossi al goal del

pareggio dei friulani. L’Udinese scavalca la Fiorentina, retrocessa per dispetto.

L’unica novità, se la vogliamo proprio trovare, sta nel fatto che mai come domenica una squadra si è trovata nelle condizioni di dover perdere contro il proprio immediato interesse ma senza possibilità d’appello. Per il resto niente di nuovo.

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