venerdì 28 maggio 2010
Sondaggio cultural-etico
Premetto:
1) se avessi comprato tutti i libri che ho letto, i miei genitori e io avrebbemmo alcune migliaia di euro in meno, il che non è nemmeno pensabile;
2) se avessi comprato tutti i libri che ho letto, alcune stanze della mia casa sarebbero occupate solo da libri, il che non è nemmeno pensabile;
3) se avessi visto al cinema o noleggiato (a pagamento) tutti i film che ho visto, vedi punto 1);
4) se avessi acquistato o noleggiato (a pagamento) tutti i dischi che possiedo, vedi punto 1) e 2);
Quindi:
1) mi sono sempre massicciamente servita della biblioteca pubblica, e continuo a farlo;
2) sono iscritta a un circolo (il dopolavoro dell'azienda in cui lavorava mia madre) dove si noleggiano gratis film e libri;
3) sono solita condividere i dischi con un gruppo di amici, più o meno conosciuti;
E' anche vero che:
1) la biblioteca è un luogo che amo: lo scambio di conoscenza gratuita mi pare un concetto tanto giusto, e ricordo ancora con affetto i sabato mattina che da piccola passavo in biblioteca a leggere mentre mia madre andava a fare la spesa e al mercato;
2) l'attività del circolo di cui sopra è completamente legale e alla luce del sole;
3) uno si sceglie gli amici che gli pare, no?
Ma tutto ciò detto:
un artista (musicista, scrittore, regista, attore) e tutti quelli che vi lavorano dietro fanno quel lavoro anche perché gli serve per vivere. Cioè per guadagnare soldi. Soldi che, se tutti facessero come me, raramente vedrebbero.
Lasciamo perdere il fatto che ci sono alcuni sedicenti musicisti che guadagnano delle enormi somme di denaro, producendo, tra parentesi, musica dal dubbio peso artistico, e analogamente per alcuni attori, registi, scrittori, etc. Questi ovviamente riescono a cavarsela egregiamente anche senza il mio contributo.
Ma mettiamo che questi siano solo casi eccezionali, e che in generale ogni "artista" abbia bisogno del mio contributo per godere dei frutti del proprio lavoro.
Da un punto di vista etico, come mi posso giustificare? In linea di massima mi sento in colpa, ma penso che complessivamente la società ne guadagni ad avere al suo interno un individuo istruito e consapevole, anche se è diventato tale grazie a una cultura di cui ha potuto fruire pressoché gratuitamente. Se avessi dovuto pagare tutto quello di cui ho in effetti fruito, sarei forse a 1/10 del totale. E forse sarei una persona peggiore, per tanti motivi.
Ma da un punto di vista etico?
giovedì 20 maggio 2010
Ricetta pizza alla cipolla, pomodori e pecorino
Stendete un rotolo di pasta da pizza pronta su una teglia da forno, conservando la carta da forno con la quale era confezionata.
Sbucciate una cipolla bianca, tagliatela a fettine sottili. Disponete la cipolla sulla base.
Lavate 2 pomodori maturi, tagliateli a metà orizzontalmente, strizzateli leggermente per eliminare gran parte dei semi. Tagliateli a fette e poi le fette a metà. Disponete le fette sulla base.
Tagliate a listarelle sottili 150 grammi di pecorino, e disponetele sopra alle verdure.
Irrorate con olio d’oliva, aggiungete sale e pepe, infine una spolverata di origano.
Cuocete in forno a 180° per circa 15 minuti, o comunque fino a quando i bordi liberi della pasta non saranno ben dorati. Servite anche tiepida, tagliata a quadrotti.
lunedì 17 maggio 2010
Mistici identici
Il nuovo album dei Baustelle, I mistici dell'Occidente, che sto ascoltando con attenzione nell'ultimo periodo, si distingue principalmente per:
- pesanti arrangiamenti, sia di fiati che di archi, in molte canzoni;
- liriche pesantemente sessantottine ma soprattutto post-sessantottine (nel '68 si pensava anche a fare un po' di baldoria; negli anni dopo pian piano si andava a finire come in Ecce Bombo);
- dualismo canoro lui-lei;
- musica che è un po' rock anni sessanta, un po' pop, un po' canzonetta di San Remo (ma perché non ci vanno una volta tanto a San Remo, invece di mandarci Irene Grandi sotto mentite spoglie? Io dico che se si riuscisse, durante la settimana del festival, a far venire una paresi alle dita delle ragazzine under18 di tutta Italia, i Baustelle eventuali partecipanti vincerebbero a mani basse).
Praticamente, non si distingue dai precedenti. Molto bene, avanti così!
domenica 16 maggio 2010
Sabato al cinema
Camilla: No, non avendo il televisore... In realtà la Gabanelli mi piace e anche parecchio... Però quando la guardo poi mi deprimo.
ade: In effetti, mi deprimo anch'io, e verso la metà della trasmissione vorrei cambiare canale.
Ecco, anche ieri sera è stato così: sono andata a vedere Draquila - l'Italia che trema e non solo non c'era un cazzo da ridere (anche se la Guzzanti è finora nota principalmente come attrice comica) ma c'era proprio da piangere. La sensazione con la quale si lascia la sala è un netto giramento di chitarrini. Però è quel giramento necessario per rendersi conto di esistere, e di poter fare ancora qualcosa.
Dalle mie parti, quando uno prova dolore (fisico) si dice che "sente dov'è suo". Ovvero: che si accorge che quella parte gli appartiene, perché lo fa soffrire. Speriamo che a forza di sentire dov'è nostro, ci riappropriamo di tutto quanto e riusciamo a farlo dolere un po' meno.
mercoledì 12 maggio 2010
Ricetta crostata di ricotta
Preparate la pasta frolla, foderatevi una tortiera (preventivamente foderata di carta da forno, bagnata e strizzata, in modo che aderisca bene alle pareti).
La pasta che avanza potete usarla per realizzare una “griglia” sulla superficie del ripieno, una volta che lo avrete preparato e versato sul fondo.
Nel frattempo preparate il ripieno mescolando 400 grammi di ricotta, 70 grammi di zucchero, 2 tuorli, 2 cucchiaiate di farina, 40 grammi di uvetta.
Frullate (con una frusta elettrica alla massima velocità) i 2 albumi d'uovo freddi di frigo, in una ciotola fredda di frigo, finché non diventeranno gonfi e sodi, che praticamente se inclinate la ciotola scivolano tutti insieme come un budino. Uniteli all’impasto delicatamente, con movimenti della forchetta dall’alto in basso.
Versate il ripieno nella pasta frolla, cuocete in forno a 180° per 40 minuti, o comunque finché il ripieno si sarà asciugato. Provate pure ad aprire il forno e a immergere una lama di coltello nell’impasto: dovrà uscire pulito.
Fate raffreddare e spolverizzate di zucchero a velo.
mercoledì 5 maggio 2010
Sulla assoluta mancanza di sportività nel calcio, sempre.
(Ricevo & pubblico le riflessioni di un appassionato di calcio, che ha meglio saputo sintetizzare le mie opinioni in materia)
Assumiamo che un alieno curioso abbia studiato la definizione dei termini “sport” e “sportività”, e ammettiamo che si sia letto ben bene le regole del calcio. Se avesse improvvisamente acceso la sua TV intergalattica per trovare conferma di quanto appena appreso e si fosse sintonizzato domenica 2 maggio sulla partita tra Lazio e Inter (vinta per 1-2 dai nerazzurri), avrebbe avuto ben ragione di meravigliarsi di quanto il monitor gli stava mostrando: i giocatori della Lazio che si accontentavano di trotterellare per il campo e il proprio pubblico che tifava per la squadra avversaria.
Fortunatamente (o forse no: sta a voi decidere) non siamo extra-terrestri ma esseri umani, e nella fattispecie italiani. Il senso di quest’ultima precisazione non cela nessun pregiudizio morale negativo, ma è semplicemente doveroso perché in questa nazione come in pochissime altre il calcio è molto più che uno sport: è un business, una religione, è il termometro della condizione psicologica della maggioranza degli individui di sesso maschile del paese.
È questo il motivo per cui il tifoso di calcio italiano è altrettanto interessato alla storia dei risultati delle diverse squadre quanto ai punteggi delle più recenti partite, perché questo gli permette di portare, quale argomento a suffragio delle proprie speculazioni, ora il glorioso palmares di una potenza calcistica attualmente in difficoltà, ora le invidiabili prodezze di una squadretta dal passato non proprio memorabile.
Ciò che coloro che hanno stigmatizzato il comportamento di tifosi e giocatori laziali stentano a capire è che il calcio non viene vissuto dal tifoso nell’arco dei 90 minuti di una partita e neanche nell’arco delle 38 giornate di un campionato. Nel caso specifico della storica rivalità fra Lazio e Roma la partita va avanti da quasi un secolo.
E allora per i tifosi romani il calcio va immaginato come il gioco degli scacchi (recentemente riconosciuto uno sport persino dal CONI) in cui nell’eterna sifda stracittadina spesso si gongola anche per la perdita di un pezzo, indipendentemente dalla sua importanza purchè non sia il re, perché questo permette, se non proprio di andare a vincere inesorabilmente la partita, perlomeno di riaprirla.
Questo è quello che hanno fatto i giocatori della Lazio domenica sera, questo è ciò che gli chiedevano i propri tifosi. Di farsi mangiare un pezzo. Un pezzo poco più importante di un pedone, che arrestasse l’avanzata dello schieramento nemico.
E non ricordano forse i moralisti dell’ultim’ora di varia estrazione (che vanno dagli ex addetti ai lavori protagonisti di episodi simili, quando non peggiori, alle vedove di Moggi, passando udite udite per i politici, pronti a tutto pur di mettere il bastone tra le ruote alla controparte) che due volte l’anno Mamma RAI, in nome e per conto degli italiani, celebra in diretta TV la ricorrenza del Palio di Siena, madre delle manifestazioni sportive in cui non importa tanto vincere quanto far perdere il proprio avversario storico.
La verità, se vogliamo arrivare al nocciolo della questione, è che ciò di cui tutti questi personaggi vorrebbero accusare i laziali (ma non possono, non riuscendo ad essere onesti con se stessi) è di essere stati troppo sfrontati e troppo goliardici nel perpetrare il reato di cui da decenni quasi tutte le squadre e le tifoserie si macchiano, con l’accortezza però di non dare nell’occhio. A Roma è stato messo a nudo l’unico vero valore del calcio: la sopraffazione a tutti i costi del proprio nemico, badate bene: non del proprio avversario sportivo.
E proprio e solo in questo hanno sbagliato profondamente i biancocelesti: nell’offrire ad un sistema profondamente malato uno strafottente capro espiatorio da innalzare sull’altare dell’onnivoro linciaggio mediatico. Ma è oggettivamente difficile sostenere tesi secondo le quali soltanto nel DNA dei biancocelesti (e tra l’altro della loro quasi totalità) esista un gene che porti a tifare contro la propria squadra per una sera, per poi trarne benefici per tutto l’anno successivo. Davvero pensate che in un’altra città la gente avrebbe perso l’occasione di festeggiare per tutto l’anno pur di celebrare la propria sportività per una sera?
Gli esempi di partite combinate o volutamente non vinte o non giocate non mancano certo in questo come negli anni passati, in italia e all’estero.
- Domenica 2 maggio: Udinese 2 – 2 Cagliari, per entrambe salvezza matematica.
- Stessa settimana: Liverpool 0 – 1 Chelsea, scudetto regalato dai Reds ai Blues e sottratto agli storici rivali del Manchester United.
- 15 magio 2005: Lazio 0 – 0 Roma, derby praticamente non giocato a causa di un tacito
accordo tra i giocatori per garantire la matematica salvezza ai giallorossi a un passo
dalla retrocessione.
- 6 giugno 1993: Roma 1 – 1 Udinese, ultima di campionato, la Roma gioca una partita
farsa e sbaglia un goal a porta vuota nel finale, esultanza dei tifosi giallorossi al goal del
pareggio dei friulani. L’Udinese scavalca la Fiorentina, retrocessa per dispetto.
L’unica novità, se la vogliamo proprio trovare, sta nel fatto che mai come domenica una squadra si è trovata nelle condizioni di dover perdere contro il proprio immediato interesse ma senza possibilità d’appello. Per il resto niente di nuovo.